Secondo una recente ricerca condotta dal dott. Harvey Klisman, analizzare la placenta, appena avvenuto il parto, potrebbe essere di aiuto nel diagnosticare l’autismo. Infatti, nel corso degli anni, sono state analizzate 117 placente di madri che presentavano un rischio di avere bambini autistici, confrontandole con altre 100 dove questa probabilità non c’era.
Si è osservato che nelle prime il trofoblasto, il tessuto che nutre l’embrione, era alterato. Questa caratteristica esponeva ad un rischio del 96,7 % di sviluppare autismo.
I ricercatori mirano a rendere questo esame di routine, per intervenire tempestivamente nelle cure.
Di contro ci sono altri pareri contrapposti quale per esempio lo studio messo a punto dalla Johns Hopkins Univerity School of Medicine, secondo il quale, questo test sarebbe inutile in quanto l’autismo comincia a manifestarsi solo dopo i primi sei mesi di vita del bambino.
Per avvallare questa tesi, infatti, gli scienziati hanno analizzato 235 bambini dai 6 ai 36 mesi, alcuni dei quali avevano fratelli autistici, constatando che solo dopo i 14 mesi di vita erano comparsi i primi segni della malattia.
Attualmente ciò che si sta studiando è la possibilità, attraverso un test del sangue, di individuare i bambini a rischio, prendendo come riferimento il cambiamento nell’espressione genica del Rna.
Una linea comune tra gli scienziati ancora non c’è e la sensazione rimane quella che la strada per arrivare a diagnosi precoci sia ancora tutta da percorrere.